Parliamo di cose concrete!

di Andrea Iannamorelli

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#30 - 27/04/2020

Aspettando la fase due (1)

Da oggi parte la raccolta di una serie di riflessioni che ho fatto in questi giorni di forzata clausura. Perché l’esperienza che stiamo facendo sulla pandemia, contro la quale stiamo lottando, deve servirci a migliorare il nostro futuro quotidiano.
Nulla sarà come prima”“, ci siamo sentiti ripetere. E, senza eccessivi slanci di entusiasmo, per quello che ne penso, mi accingo (in pillole) a dire concretamente tutto quello che, nel bene e nel male di questa vicenda, a mio parere, non dovremo dimenticare. Più o meno: i rischi della “infopandemia”, il riordino dei rapporti tra Stato/Regioni con la ristrutturazione vera del servizio sanitario nazionale, la revisione del modo di essere dell’Unione Europea.

Incominciamo da qui:

I RISCHI DELL’INFOPANDEMIA

Mi auguro che quando la nostra vita tornerà alla normalità (cioè a quella di sempre), ci siano garantite tutte le condizioni precauzionali di cui sentiamo dibattere, oramai dai primi giorni di questo mese d’aprile (dibattiti tra i presidenti regionali, di Veneto e Lombardia in particolare, con il Governo e molti Sindaci, forse a caccia di facile visibilità; tra la schiera degli “gli scienziati” responsabili dei centri più significativi nella lotta alla pandemia in atto, soprattutto romani e/o lombardi; tra Protezione civile, ISS e OMS; tra specialisti virologi italiani e stranieri, ovvero tra i virologi italiani che lavorano all’estero; tra la massa enorme di “gente esperta”, o ritenuta tale, che per aver trovato un modo “per essere sentita”, nelle diverse commissioni al lavoro, chiaramente, dice come la pensa non so se anche nelle sedi competenti, certamente in streaming sui canali televisivi pubblici e privati, così come fanno soprattutto da alcune emittenti televisive private, alcuni giornalisti di primissimo piano, che si ritiene facciamo molta “pubblica opinione” ma che sono da tempo oramai considerati “tuttologi”. A proposito: non vi sono sembrate eccessive 450 persone, tra commissioni di livello nazionale e periferico, impegnate in 15 task-force? E quelli che ancora dovranno arrivare!).
Ma mi auguro, soprattutto, che il processo che si aprirà non sia gestito con rancori malcelati, rissosità, contraddizioni e quindi con “svolte pericolose” caratterizzate da comportamenti capaci, tra qualche mese (speriamo proprio di no), di farci pentire. (Se è vero che, come sembra e come sostengono alcuni, che in autunno dovremo essere molto ma molto prudenti, soprattutto se saremo in assenza di un vaccino specifico già utilizzabile ovvero con l’esigenza di una rinnovata e rituale vaccinazione collettiva contro i possibili contagi stagionali, quelli di sempre, sui quali non mancano, da tempo, schieramenti preconcetti ed apodittici tra chi è “pro” e chi è “contro”; fino al punto dal provocare, come è accaduto di recente, un approvvigionamento insufficiente, rispetto ad una teorica platea di richiedenti. Questo, sottolineo, è già accaduto, e se malauguratamente dovesse ripetersi ora, con il COVID-19 in campo, sarebbe una minaccia davvero terribile! Almeno a sentire quelli che riteniamo “esperti” di contagi virali!).
Allora: i rischi dell’infopandemia (in qualche modo indotta anche da un uso non sempre appropriato del diritto-dovere di trasparenza).
Erano i primissimi giorni di Marzo (da Codogno si segnalavano fatti già allarmanti, specie rispetto a quello che era accaduto a Roma a fine gennaio con i coniugi cinesi prelevati in un albergo del centro e ricoverati d’urgenza allo Spallanzani, e poi perfettamente guariti, si è visto in questi giorni) ed io mi permettevo di dire, soltanto interpretando quello che apparteneva alle cronache cinesi, che il COVID 19 veniva descritto come “illustre sconosciuto” dagli esperti, che l’utilizzazione del vaccino avrebbe potuto prevedere tempi lunghi e che il rischio della infopandemia avrebbe potuto essere, assurdamente, forse ancora più pericolosa di questo nemico invisibile contro il quale ci accingevamo a combattere una guerra di lunga durata: l’Infopandemia, figlia della cultura sociale nella quale viviamo, dominata dal web e dalle sue degenerazioni.
Capiamoci: in questi mesi di isolamento forzato la comunità internauta ha mostrato tutta la sua forza e la sua validità. Pensate cosa sarebbe stato se non fossimo stati in grado di utilizzare lo smart-working ovvero la didattica a distanza, per gli alunni nelle scuole, ma anche lo streaming sia per “sentirci, nel senso di comunicare, non sempre bene per la verità, ma certamente per vederci a distanza” ed in sicurezza, sia come “sostegno psicologico” offerto da tanti uomini e donne dello spettacolo che dalle loro case ci hanno assicurato quasi quotidiana compagnia. Ma tutto questo è l’aspetto positivo dell’uso della tecnologia.
Al contrario, le fake-news, il presenzialismo, “un sovraccarico d’informazioni sul tema, prima contrastanti, poi ipertranquillizzanti e infine giustamente allarmanti (hanno osservato alcuni esperti di comunicazione), stimoli informativi che non chiariscono la questione e soprattutto neutralizzano la legittimità autorevole di ogni fonte” è stata proprio l’infopandemia di cui dicevo, che non ci ha certamente aiutati, anzi ha condizionato molte reazioni personali, quelle di ciascuno di noi, e forse anche (ed è stato l’effetto peggiore) di persone che avevano il compito di suggerirci i comportamenti utili. Tanto da legittimare, in qualche caso, la libertà delle decisioni e la difesa dell’autonomia regionale (o addirittura, a volte, “localistica”) dei comportamenti; autonomia giustificata da un ordinamento statuale che ha decentrato, con dettato costituzionale, è vero, l’organizzazione del sistema sanitario, oscurando il dato incontrovertibile, almeno finora, che ora e qui, oltre all’organizzazione territoriale del servizio sanitario, in ballo c’era e c’è la tutela della salute collettiva. E su questo principio la Costituzione esplicitamente rinvia ai poteri esclusivi e alla funzione non delegata dello Stato.
Infopandemia che ha finito anche di incidere negativamente su uno spiraglio di ritrovato e felice rapporto tra scienza e politica in un paese, il nostro, che nell’età contemporanea spesso manifesta solo a parole la volontà di valorizzare la competenza esperta, perché alla fine dei conti sono ben altre le logiche che sostanzialmente giustificano la catena delle decisioni della politica e del Governo, a tutti i livelli, dalla più lontana periferia, fino a Roma, ovvero, a seconda dei casi, fino a Napoli o a Milano o nelle grandi aree metropolitane.
Ecco, quindi, a mio modestissimo parere, una delle verità che dovremmo portarci come dote dall’esperienza di questa pandemia, quando sarà finita. L’uso smodato dei preziosissimi strumenti di comunicazione non è uno slogan ideologico o un preconcetto ma una verità con la quale dobbiamo fare i conti, per non esserne vittime.
I rischi del resto li contiamo tutti proprio in queste ore: riapriamo tutto, non riapriamo, dove, quando, soprattutto “come”, ciascuna regione in relazione al tasso di contagio misurabile che sembra essere di proporzioni diverse tra regione e regione, soprattutto diversa tra un’Italia del centro-sud ed un’altra del centro-nord, con una forbice di previsione che va dalla fine di questo mese di aprile fino alle ultime settimane di giugno; con i problemi economici che non soltanto ci fanno realisticamente temere una crescita enorme dell’indebitamento nazionale ma soprattutto ci riconsegnerebbero un Paese affranto dalla chiusura di imprese (medie e piccole) che potrebbero non intravvedere più all’orizzonte la possibilità di rimettersi in corsa e potrebbero generare una disoccupazione pericolosa anche sul piano della tenuta sociale (con il ruolo devastante di gruppi di criminali organizzati che potrebbero approfittare del bisogno sia delle imprese decotte che degli espulsi da una realtà lavorativa in forti difficoltà. Si parla in queste ore di una caduta del PIL, per il 2020 pari al 15%!).
E’ evidente che evitare questi rischi è il compito precipuo di chi governa. E che la determinazione delle decisioni di un Governo nasce da una forte consapevolezza della direzione di marcia. Ma nella situazione nella quale siamo, sembra che “il rumore” determinato dall’infopandemia giochi un ruolo pericolosamente fuorviante e disorientante perché falsato da due fattori: uno determinato proprio dalle scelte di Governo, la proliferazione eccessiva delle commissioni insediate a supporto delle scelte da compiere. La sostanziale precarietà del quadro politico che lo sostiene; l’altro generato dal preconcetto contemporaneo, tuto italiano, del rapporto strumentale tra “scienza” (leggi “esperto”) e politica. Insomma pur essendo, il nostro, il Paese di Galileo, sembra che Albert Einstein prima e Karl Popper dopo non abbiano detto nulla sul tema!
In questi mesi c’è stata una corsa ad applaudire la scienza. Ma fino a quando questa ci ha detto quello che ci piaceva sentire. Oggi farebbe comodo avere una soluzione pronta per… far finta che non è successo niente. Invece non soltanto non è così, ma soprattutto la scienza, che fa il suo mestiere, osserva i fenomeni e quando può li interpreta, offrendo “ipotesi” di comportamento, umilmente pronta a validarla o a consigliare di cambiarla. Spetta al potere politico scegliere cosa, come e quando mettere in campo le soluzioni offerte.
E chi pensa di utilizzare (ovvero strumentalizzare) una tesi, rispetto ad un’altra, delle due l’una: o non ha capito proprio di cose stiamo parlando, ovvero è in totale malafede (infatti: strumentalizza).
Con molta pazienza e cautela, usciremo fuori da questa tristissima vicenda.
Ma ricordiamoceli tutti i rischi dell’infopandemia.
(continua)

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