Come si sfratta la cultura
La decisione della Giunta regionale di togliere l’autonomia gestionale all’Apc di Sulmona è di una gravità inaudita perché manifesta grandissima ignoranza del valore culturale di questo servizio per il nostro territorio.
Per carità, tutti possiamo sbagliare, ma con un minimo senso di “chiarezza” e consapevolezza di quello che facciamo; al contrario, a volte si dà la sensazione, magari inconsapevolmente, di agire contro la storia e la tradizione di una “popolazione” (nel caso specifico contro gli abitanti di Sulmona e circondario, di Castel di Sangro e degli Altipiani) che quella iniziativa hanno voluto, pensato, creato, quando le scelte politiche nazionali erano consapevoli dei problemi veri di chi, nel Mezzogiorno, aveva bisogno di strumenti culturali per recuperare ritardi di conoscenza e prospettive di crescita. Accenniamola, infatti, la storia.
Correvano gli anni sessanta (del secolo scorso), quando il Movimento di Collaborazione Civica, raccogliendo una delle tante opportunità che la Cassa per il Mezzogiorno metteva a disposizione dell’Italia del Centro-Sud, realizzò a Rivisondoli, un “seminario” residenziale al quale parteciparono diversi di noi, studenti delle secondarie di secondo grado o già universitari, con l’obiettivo di acquisire le conoscenze e le competenze fondamentali per attivare strutture capaci di incentivare l’ “educazione permanente” per giovani e adulti che avessero voluto recuperare gap di cultura elementare e media, con la prospettiva di darsi un ruolo nella ricerca di una prospettiva di lavoro. Fu in quei giorni che molti di noi (a Sulmona e a Castel di Sangro) si resero disponibili per avviare quest’esperienza che, a riguardarla oggi, anticipava di trent’anni circa bisogni diffusi che la comunità europea avrebbe scoperto all’inizio degli anni novanta. Molti di quei ragazzi, negli anni, hanno preso strade professionalmente diverse. Alcuni hanno continuato ad occuparsi di questa “mission” (diciamo con il linguaggio dell’oggi). Penso al prof. Francesco Susi che all’epoca era il Presidente del M.C.C. e che negli anni, come titolare di cattedra, è giustamente diventato docente Universitario, in quella problematica (l’educazione permanente); penso a Terzio Di Carlo e ai suoi collaboratori che hanno reso concreta e attiva la biblioteca pubblica di Castel di Sangro… (E potrei raccontarne di tanti altri la cui memoria tralascio, per rispetto nei confronti di quanti non reggerebbero ai miei personali ricordi).
Quando nel ’70 nacque la Regione, con la legge istitutiva dei Centri di Servizi Culturali, essa non fece altro che raccogliere tutto quello che già era stato fatto dall’iniziativa spontanea e popolare di chi volontaristicamente aveva già raccolto opportunità messe in campo dalla mano pubblica governativa (attraverso la Cassa per il Mezzogiorno la cui funzione di promozione di elevazione del livello culturale delle popolazioni meridionali si esprimeva al meglio e lontana dai saccheggi che negli anni non sempre hanno sortito iniziative produttive). E comunque, indipendentemente da una valutazione del merito o del demerito dell’impiego dei fondi a disposizione della Cassa di quei decenni, quel che ci preme di mettere in evidenza qui è che la fine dell’autonomia gestionale dell’Apc di Sulmona è la cancellazione di un pezzo di storia di un territorio, cosa di cui, la generazione della politica di questi “anni duemila”, dovrebbe avere il coraggio di fare ammenda.
Non basta un tratto di penna per cancellare un passaggio fondamentale della vita “mia” e di tanti altri, indipendentemente dagli schieramenti politici e/o di gruppo.
Prima di chiudere: leggo che per intervenire su Palazzo Portoghesi, dopo il sisma che ne ha determinato la “chiusura”, la Regione indice un’asta per raccogliere poco più di mezzo miliardo di euro. Le manifestazioni di interesse vanno presentate entro il 10 marzo prossimo. Vedremo (!). Intanto, domanda ingenua, considerata la pletora di immobili inutilizzati in questa città, non era proprio possibile fare una “convenzione pro tempore” con il Comune, per utilizzarne uno come “sede provvisoria” dell’Apc? C’era proprio il bisogno di private di autonomia di gestione questa struttura? (Ma l’ho detto, la domanda è ingenua).
L’auspicio ora è che su questo si apra un dibattito, non tanto per rimediare, ove possibile, ad un errore, nato certamente da esigenze gestionali, forse da disinformazione, chissà da cos’altro… quanto perché si conoscano le ragioni di tanta amarezza, in molti di noi.