Fatto il Governo "Conte Due".
Torniamo a parlare con realismo di "cose nostre".
Il Governo ha avuto la fiducia, come previsto, ed ora ha pieni poteri.
Chissà se alcuni hanno imparato la lezione (istituzionale) che deriva, a quindici mesi dall’avvio della legislatura, da questa vicenda che è stata certamente “inedita” per la storia del Parlamento nazionale. (Non s’era mai vista una crisi nata così presto rispetto al voto, per di più in pieno agosto e senza un cosiddetto “Governo balneare”. Il “Conte due”, negazione del Governo precedente, infatti ha la pretesa di nascere come “Governo di legislatura”. Vedremo).
Sta di fatto che ora dobbiamo tornare a pensare alle cose di casa nostra: l’Abruzzo ed il nostro territorio.
Anche Marsilio, dopo i primi sussulti sulla tenuta della coalizione che lo sostiene, ha mostrato di voler fare qualcosa. Sarebbe ora.
La sanità ora ha i suoi manager insediati e ha (sulla carta) gli strumenti per raddrizzare le cose, che non vanno bene affatto. Pensiamo, soprattutto alle cose di casa nostra.
Qui c’è un Ospedale totalmente nuovo che, per coloro che lo hanno visto, sembra “un sogno”. Si tratta, però, di farlo diventare “un sogno”, perché finora è “un incubo”: una struttura incapace di funzionare o quanto meno assolutamente “insufficiente”. Fin qui la scusa è che manca il personale. Ma ora ci sono responsabilità amministrative che, sulla carta, dovrebbero risolvere i problemi, ma anche numeri e risorse perché, nel volgere di un triennio, Testa (nuovo DR: auguri di buon lavoro) possa colmare quelle lacune che si sono aperte per mancanza di personale (trasferimenti, dimenticanze, strategie di gestione delle risorse umane sbagliate, pensionamenti). Ora le scuse stanno a zero. Quello che non accadrà sarà perché non lo si vuol far accadere.
Le infrastrutture. L’Abruzzo ne ha bisogno. Di immateriali e materiali. La crisi, soprattutto delle zone interne, aspetta “il corridoio Tirreno/Adriatico”, quindi l’operatività della ZES, la sistemazione delle autostrade di penetrazione (A/24 e A/25), il miglioramento dei collegamenti ferroviari. Soprattutto aspetta che si metta mano agli investimenti, ad incominciare da quelli previsti con il Masterplan. Ma anche di una rinnovata operatività degli interventi “post-terremoti” (ed il plurale non è un errore; infatti parlo di quello di cui recentemente s’è ricordato il decennale, ma anche di quello più vicino nel tempo che, investendo quasi tutto il Centro-Italia, ci ha toccato eccome; ma parlo anche delle ricorse messe in catalessi dal “primo Governo-Conte” finalizzate alla prevenzione o al miglioramento del rischio sismico. Non sono investimenti? Doppi, direi. Se pensiamo al fatto che, soprattutto in casa nostra, i nostri alunni da anni non hanno edifici sicuri ed affidabili; e vivranno anche l’anno scolastico appena iniziato in “baracche” o in alloggi di fortuna che costano alla collettività affitti annuali non di poco conto).
Ma, per associazioni di idee, parlando di “investimenti” mi viene in mente l’attenzione (finora espressa soltanto dalle organizzazioni sindacali di categoria, e chiedo scusa per eventuali omissioni) che dovrebbe esser riservata alla vicenda ex Magneti-Marelli (ex Fca, ex Fiat) oggi Calsonic Kansei Corporation, colosso mondiale giapponese controllato dal fondo d’investimento statunitense KKR.
Sono preoccupato per il fatto che da tempo si ripetono gli scioperi (dei turni domenicali: fine agosto, ieri e l’8 ottobre prossimo) degli operai che evidenziano oramai la decadenza delle strutture produttive degli impianti con un ricorso ingiustificato allo straordinario. E non è cosa di poco conto. Anzi in qualche modo è un simbolo. Insomma pare che i passaggi di proprietà del sito, forse anche in coincidenza con la crisi generale del settore dell’auto, stiano incidendo in maniera decisiva sulla fabbrica che da tempo immemorabile è il simbolo storico non della decadenza, ma della crescita (socio-economica) del “nostro” territorio.
Ci manca solo che a breve dobbiamo incominciare a “sfilare” per le vie di Sulmona, “a difesa della ex Magneti Marelli”! Meglio non pensarci. Anzi: meglio pensarci; soprattutto meglio mettersi a fianco degli operai, per sostenerli e andare a vedere come stanno davvero le cose ed incominciare a porsi preventivamente i problemi del futuro.
Mi chiedevo in apertura se qualcuno dalla risoluzione di questa strana crisi di Governo abbia imparato qualcosa. Non era una domanda retorica. Ma una domanda vera perché al di là degli errori individuali e caratteriali che hanno scatenato Salvini tra il 7 e l’8 agosto scorsi, sono personalmente convinto che la crisi del Governo giallo-verde sia nata proprio dal concepimento di quel governo; cioè dalla convinzione che indipendentemente dalle condizioni oggettive, dettate dal contesto nel quale si opera, si riteneva di poter realizzare quello che le campagne elettorali avevano promesso. (Di qui “il contratto”. Niente di più sbagliato che si potesse pensare! Infatti…). Ricordate l’antico adagio: “Tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare”? Valeva al tempo di chi ce lo insegnò, e vale ancora oggi, varrà sempre; soprattutto per quanto riguarda la gestione delle cose da realizzare nell’interesse collettivo. Ecco perché, quando votiamo dobbiamo tenere gli occhi bene aperti e pensare se quello che un candidato “ci promette” è possibile o no.
Ora la situazione del nostro territorio è quella che è. La tendenza inarrestabile al declino, l’impoverimento di risorse umane e di attività produttive non la fermeremo con le chiacchiere, meno che mai con le cose dette in campagna elettorale. Ma con l’assunzione di responsabilità di fronte alle situazioni che mutano e rendono possibili o impossibili quello che ciascuno si aspetta.
Quando (tra la fine degli anni sessanta e i primi degli anni settanta del secolo passato) arrivò il riconoscimento del Nucleo industriale di Sulmona in pochi eravamo convinti che quell’insediamento, come avvenne, avrebbe invertito, nella zona, una tendenza all’epoca fortemente negativa. La polemica elettoralistica degli avversari ci ripeteva stancamente che sarebbe stata una scatola vuota. Poi arrivò quell’insediamento. E la tendenza al decadimento si bloccò. La spinta all’emigrazione ebbe un arresto; sul territorio addirittura si registrò un pressante bisogno di nuove abitazioni per l’incremento urbano e residenziale.
Dopo cinquant’anni il panorama di riferimento (economico, sociale, finanziario, nazionale ed internazionale) è totalmente mutato. Oggi non possiamo stare fermi e fare a gara a lamentarci o a ridurre la polemica politica ad attacchi individuali. Non interessa nessuno, tanto meno quello collettivo e pubblico.
La lezione della strana crisi del Governo ce lo dovrebbe insegnare. I problemi degli emigranti ovvero quelli legati alla stabilità dell’economia nazionale non si risolvono “contro” l’UE, ma standoci dentro (vedi il ruolo di Gentiloni).
Morale: i problemi della ripresa del nostro territorio non si risolvono con “chiacchiere da bar” ma con l’assunzione delle responsabilità di ciascuno ai diversi livelli. Della crisi della ex Magneti Marelli gli operai e le OO.SS. se ne occupano. Ma non vanno lasciati soli. La classe politica dirigente, ai diversi livelli istituzionali (dai Comuni alla Regione fino a Roma) perché non se ne occupa? E’ necessario che scoppi una messa in cassa integrazione dell’ultimo presidio operaio della zona (presidio produttivo; così come è accaduto con l’Ospedale…ed i magri e problematici risultati fin qui si son visti…) perché si gridi alla rapina! Bisogna essere realistici. Ovvero bisogna prevenire le iatture e non avere la presunzione di “cavalcarle”. Sarebbe inutile.