6 aprile 2009
Mi è piaciuta la proposta di Patrizia Tocci contenuta ne “I gigli della memoria”; mi ha portato direttamente alla “cappella” della chiesa delle “Anime Sante” e a quell’album di fotografie che rende omaggio ai “309 angeli” di quell’indimenticabile 6 aprile di dieci anni fa.
Brava Patrizia, la “banca della memoria”, un luogo virtuale, per ritrovarsi intorno ad un “luogo materiale”, affinché questo resti indelebilmente scolpito nella memoria di tutti, per sempre.
Ed io, che non voglio proprio rischiare di dimenticare (come potrei!), ogni tanto vado tra i luoghi che mi sono cari e famigliari. Anche di recente l’ho fatto (sono stato a vedere “Benvenuti in casa Gori”), proprio per rinsaldare la mia personalissima memoria dell’Aquila che ho amato di più, quella del Teatro. E, indipendentemente dallo spettacolo, che è stato stupendo (grazie TSA, per quello che hai ripreso a fare, anche se nel “ridotto”), non nego che la giornata è stata “pesante”.
Dieci anni. Certo, nonostante tutto, ho visto che s’è fatto molto; ma troppo ancora resta da fare, non soltanto per i privati, ma anche per molti luoghi di forte interesse pubblico (almeno per quello che ho potuto vedere io). Soprattutto è “il silenzio” (che ancora attanaglia le strade del centro storico) che “prende l’anima”.
Avevo avuto la sfrontatezza, in un mio romanzo del 2011 (Il Libro) di far dire ad un protagonista del mio racconto che se ne sarebbe riparlato intorno al 2040, per “rivedere L’Aquila come la conosciamo”. Ma confesso che mi auguravo, oggi, di trovare già una situazione migliore.
Quest’è, invece. E l’unico atto d’amore che si può e si deve fare (nei confronti dell’Aquila? No, direi nei confronti di tutta la regione) è di contribuire a spingere perché il processo avviato (e che mi sembra stia dando faticosi ma buoni frutti) proceda con maggiore accelerazione.
Certo il problema fondamentale è che più decenni passano, più i nuclei familiari che hanno scelto di andar via non torneranno; perché a passare sono le generazioni (qualcuno parla di 40.000 residenti in meno, non so se credergli) e questo inevitabilmente indebolisce il vincolo della memoria e rende sempre più fragile il tessuto socio-economico.
Ecco perché oggi è questo quello che pesa di più; quel “silenzio” evoca questo rischio.
Diciamocelo con franchezza, dieci anni fa lo sconquasso di quella notte ha ferito profondamente la vita di tante famiglie, aquilane e non, ma soprattutto ha provocato un cambiamento profondo alla vita di questo nostro Abruzzo. E non soltanto per il processo di inurbamento frenetico che ha condotto molti Abruzzesi delle zone interne a scegliere di vivere sull’Adriatico, quanto per la discrasia temporale degli interventi tra il cratere del terremoto e le zone periferiche dell’Abruzzo interno (che gli effetti negativi di quella notte se li portano tutti in memoria ma, per responsabilità diverse, sono rimasti tutti lì, a testimonianza della fragilità strutturale, economica e sociale di queste montagne così colpite. Aggiungiamo che il 2016 ha fatto registrare anche l’apertura di nuove “faglie” nell’Appennino centrale… ed ecco perché “il terremoto”, dopo dieci anni, sta diventando, in qualche modo, l’agente più forte, condizionante e significativo della vita contemporanea degli Abruzzesi e delle “nostre montagne”). Ma è proprio per questo che ho deciso di dedicare questo mio quindicinale appuntamento con i lettori a quest’argomento.
Non dovevamo essere, qui in Abruzzo, si diceva dieci anni fa, “il cantiere più grande d’Europa”? Tra restauri da fare (per edifici pubblici e privati), consolidamenti sismici e prevenzioni plausibili (certificati e documentati su edifici pubblici e privati), non dovevamo legittimamente aspettarci che il comparto dell’edilizia e delle costruzioni avrebbe fatto registrare significativi incrementi tali da sostenere il nostro PIL regionale facendoci mantenere, in Italia, le posizioni faticosamente conquistate nel cinquantennio della seconda metà del novecento?
Non mi sembra che tutto questo stia accadendo. Per averne certezza, ho sentito il prof. Aldo Ronci il quale, puntualmente ed attendibile come sempre, mi dice che tra il dicembre 2008 ed il dicembre 2017 “le imprese attive nel settore delle costruzioni hanno subito un calo pari al -7,91%, in Italia, -8,72% in Abruzzo, -12,92% a Sulmona (molto più della tendenza negativa nazionale). Solo a L’Aquila un lievissimo (e certamente non compensativo) incremento: +2,18%”.
Ecco (forse brutalmente) ho detto, con la sincerità di sempre, come penso che gli Abruzzesi debbano legittimamente aspettarsi, dalla classe dirigente (politica e non) un adeguato e condiviso “ricordo” di questo decennio. Senza retorica, ma con tanti fatti ed adeguati interventi, non solo su L’Aquila.