La legge fondamentale che regola gli usi civici.
La prova dell’esistenza dei diritti civici.
Con la legge 16 giugno 1927, n. 1766, di conversione del Regio Decreto 22 maggio 1924, n. 751, il governo italiano ha disciplinato per la prima volta in modo unitario, sull’intero territorio nazionale, due diverse figure giuridiche ben distinte, sotto l’unico termine di usi civici: terre di proprietà collettiva (demanio civico) e terre di proprietà privata ma su cui grava un diritto di uso civico in favore della collettività.
In base a tale legge, i proprietari di terre con gravame di uso civico possono togliere tale vincolo, risarcendo la comunità in denaro (con la cd. Liquidazione) o in terra (scorporo), ai sensi degli artt. 5, 6 e 7. In quest'ultimo caso viene delimitata una porzione del fondo che diventa di proprietà collettiva (demanio civico) dove la comunità esercita il diritto di uso civico.
Questa legge, lungamente e vivacemente combattuta prima della sua approvazione, dispone che gli usi civici in senso stretto, (cioè i diritti collettivi di godimento ed uso spettanti ad una popolazione e ai singoli utenti che la compongono su terre in dominio privato) non possono variare nel loro contenuto e sono destinati alla liquidazione, ad eccezione solo degli usi civici di pesca.
Il diritto civico o dei cives è in rapporto strettissimo con la formazione delle comunità di abitanti e il loro insediamento e sviluppo sul territorio. E questo spiega perché è difficilissimo e, nella maggior parte dei casi, quasi impossibile trovare e, quindi, poter avere la prova storico-documentale circa origine, esistenza e modalità di esercizio dei diritti o più esattamente dei possessi originari delle comunità di abitanti, risalenti ad epoche di diritto consuetudinario, non scritto.
In una materia in cui la ricerca storica delle fonti documentali è così ardua e complessa, il legislatore nazionale del 1927, sulla base dei principi e massime di diritto elaborate nel contenzioso che ha fatto seguito alle leggi abolitive della feudalità negli Stati meridionali, ha sancito, all’art. 2, che “… ove non esista la prova documentale, è ammesso qualunque altro mezzo legale di prova, purché l'esercizio dell’uso non sia cessato anteriormente al 1800.”.
Il maggior problema – nel vigente ordinamento di diritto scritto - è rappresentato dalla ricerca delle prove documentali dei titoli originari per gli usi il cui esercizio è cessato prima del 1800 e dalla difficoltà della prova orale (per testi) per gli usi ancora in esercizio prima del 1800.
Le scuole giuridiche di fine 800 hanno cercato di superare il problema della prova documentale con il ricorso alla categoria delle presunzioni circa l'esistenza degli usi nei territori abitati (ubi feuda ibi demania), ed alla prova cd. per immemorabile. Quando l'esercizio del diritto di uso civico da parte dei cives è così antico che si è perso il ricordo della sua origine, ed è solo attraverso il ricordo dei più anziani del paese che è possibile ricostruirne le modalità, si ricorre all’espediente di atti notori, in cui i più anziani ricordano ed attestano - per averlo appreso dai loro avi - esistenza, natura ed estensione dell’utilizzo dei beni da parte della popolazione.
In tema di usi civici, la ricerca della prova documentale della natura demaniale di un territorio, onde applicare il principio “ubi feuda, ibi demania”, non va intesa nello stesso senso della dimostrazione della proprietà, sottesa all’azione di rivendica di diritto comune, dovendo essere svolta esclusivamente nel campo della prova documentale propria del diritto feudale.
Un nesso inscindibile esisteva da secoli fra le terre demaniali e gli usi civici ed è pacifico il principio per il quale un terreno demaniale, per sua natura, era necessariamente gravato da usi civici. Questo principio fu sancito dalla massima che recitava: ubi feuda ibi demania, ubi demania ibi usus.
Quello sancito all’art. 2 della legge 1766/1927 è un principio giuridico che riveste una particolare rilevanza per la soluzione dell’annoso problema degli usi civici a Scanno, perché la vasta documentazione esistente nei nostri archivi storici non sembra sia stata sufficientemente presa in considerazione dai periti demaniali che hanno curato la redazione delle tre verifiche demaniali relative al nostro paese.